Suppongo che quando i padri costituenti scrissero l’articolo 45 della Carta – La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata – di certo non avrebbero potuto immaginare che, a distanza di 70 anni, il legislatore dovesse occuparsi delle false cooperative.
La cooperazione ed il mutualismo sono parte costitutiva della storia democratica del nostro Paese. All’indomani della tragica esperienza dei fascismi in Europa, la nostra Costituzione immaginava che attraverso la libera associazione tra gli individui si potesse fare impresa e creare valore, socializzando i mezzi di produzione ed il profitto. Questo modello, con le sue difficoltà, ha saputo tenere insieme, per oltre 50 anni, benessere economico e inclusione sociale. Come spesso accade in Italia, tendiamo a “monumentalizzare” la nostra storia. In questo processo, la memoria sbiadisce, le narrazioni si cristallizzano, perdendo vigore e divenendo incapaci di mobilitare la società.
Ho come l’impressione che anche la cooperazione, soprattutto negli anni del capitalismo “reale”, abbia corso questo rischio, perdendo in alcuni casi gli anticorpi necessari a difendersi dalle intrusioni di interessi speculativi, che nulla a che vedere con la sua storia. La raccolta di oltre 100 mila firma dimostra che le cooperative non intendono rassegnarsi alla monumentalizzazione, ma vogliono continuare ad essere forza viva nella società.
La recente proposta di legge “Disposizioni contro le false cooperative” può certamente contribuire a separare il grano dal loglio. Accanto ad un sistema di controlli formali, però, credo sia necessario immaginare dell’altro. Se le imprese parlano sempre più di “valore condiviso”, la cooperazione dovrebbe codificare e misurare il “valore cooperativo”. Continua a leggere